L’importanza di costruire una previdenza complementare a quella pubblica

I motivi per cui è importante per ogni lavoratore aderire ad una forma di previdenza alternativa e complementare a quella pubblica sono molteplici e oggi più che mai per nulla trascurabili.

Primo fra tutti vi è quello di garantire per sé e per la propria famiglia, una volta raggiunta l’età pensionabile, un tenore di vita almeno pari a quello goduto durante l’ultimo anno di attività lavorativa, soprattutto quando il nucleo familiare è sorretto da un’unica fonte di reddito. 

Questa esigenza risiede nell’esistenza di un gap significativo e non trascurabile tra il livello dell’ultima retribuzione percepita dal datore di lavoro e l’erogazione del primo assegno pensionistico pubblico noto come tasso di sostituzione.

Questo indicatore calcola il rapporto tra l’ultimo stipendio e il primo assegno pensionistico percepito e misura, in sostanza, la contrazione del reddito di ogni individuo nel momento in cui smette di lavorare e va in pensione: quanto più basso è questo rapporto, ovvero quanto più basso è l’assegno pensionistico rispetto all’ultima retribuzione percepita, tanto più si contrae la capacità di spesa e il tenore di vita effettivo del neo pensionato.

Questa differenza si è andata col tempo allargando come diretta conseguenza delle riforme del sistema pensionistico resesi necessarie per fronteggiare, tra le altre cose, un sistema pensionistico insostenibile e un’aspettativa di vita in continua crescita (Riforma Dini →  passaggio dal sistema pensionistico retributivo a quello contributivo; Riforma Fornero → allungamento dell’età pensionabile).

COME FUNZIONA IL SISTEMA PENSIONISTICO ITALIANO

Il sistema pensionistico italiano è basato sul meccanismo della ripartizione, ovvero sul principio che a pagare le rendite pensionistiche ai pensionati siano i lavoratori attivi con i propri contributi.

Questo può avvenire fin tanto che vi sia un certo bilanciamento tra numero di pensionati, lavoratori attivi, crescita demografica e crescita economica. Quando il numero di pensionati è superiore a quello dei lavoratori attivi (leggasi Uscite per pensioni erogate > Entrate per contributi versati), unito ad uno scenario demografico decrescente (minori nascite e quindi minori lavoratori attivi in prospettiva futura) e uno economico stagnante (minori contributi versati nel sistema), il sistema non è più in equilibrio.

La conseguenza è che le pensioni saranno più basse per via dell’applicazione di un tasso di sostituzione penalizzante per i pensionati, ma necessario a mantenere il sistema pensionistico in “equilibrio” dovendo erogare per più tempo le rendite pensionistiche ad una popolazione sempre più longeva. 

Per dare qualche cifra (secondo i dati della Ragioneria dello Stato 2023), un lavoratore dipendente che iniziasse oggi il proprio percorso lavorativo andrebbe in pensione a 67 anni con un tasso di sostituzione netto del 67,2% o, in altre parole, percepirà una pensione che sarà il 33% inferiore all’ultimo stipendio percepito. 

Quindi, se l’ultimo stipendio netto fosse di 2500€ il primo assegno pensionistico sarà di 1680€: sono più di 800€ al mese in meno che potevano essere spesi per cene, viaggi e tanto altro.  

fonte: Ragioneria Generale dello Stato

Attenzione! Questa tabella, così come ogni altro scenario ipotizzabile allo stato attuale, permette unicamente proiezioni statiche che possono variare nel corso del futuro per l’incidenza non solo dei fattori precedentemente citati (mercato del lavoro, aspettativa di vita, ecc.), ma anche di altri fattori o di nuove variabili oggi sconosciute che porteranno il legislatore a mettere nuovamente mano alle regole del sistema pensionistico nazionale.

Oltre al problema Tasso di Sostituzione: Inflazione e Longevity Risk

Tra i fattori che il contribuente deve considerare nella sua pianificazione finanziaria personale e familiare vi è inoltre il problema dell’inflazione.

L’inflazione riduce nel tempo il potere d’acquisto dei consumatori e pone quindi un ulteriore argomento a favore della predisposizione di una previdenza complementare, laddove le rivalutazioni pensionistiche decise dal governo di anno in anno, necessarie a compensare l’effetto inflattivo, non seguono puntualmente l’aumento dell’inflazione per tutte le fasce di contribuenti e possono essere soggette, come in passato, anche a sospensioni.

Secondo tema importante è il rischio longevità o longevity risk.

L’aspettativa di vita media è in aumento nella popolazione mondiale, Italia compresa, e questo ridefinirà in futuro ulteriormente l’ammontare dell’assegno pensionistico in senso peggiorativo: a parità di altre condizioni, il sistema pensionistico dovrà spalmare su più anni la rendita pensionistica e ridurrà conseguentemente l’assegno mensile per il contribuente.

A fronte di ciò, per una popolazione che vive più a lungo si renderanno necessarie, per ovvie ragioni anagrafiche, forme di assistenza e cure specialistiche per più a lungo e in un momento della vita in cui non si è più autosufficienti.

Questo rappresenterà un grosso problema per tutti coloro che non avranno una rendita pensionistica tale da poter essere supportati al meglio possibile secondo le proprie esigenze e aspettative.

I vantaggi della previdenza complementare

Fin qui sono stati espressi 3 temi importanti (tasso di sostituzione, inflazione e longevity risk) che da soli dovrebbero portare a convenire che integrare con un ulteriore pilastro la propria  previdenza pubblica è un’azione oggigiorno imprescindibile.

Con una corretta pianificazione previdenziale infatti si può scongiurare di ritrovarsi in futuro in spiacevoli scenari finanziari per sé e per la propria famiglia, riuscendo a beneficiare anche di ulteriori vantaggi.

Se quindi l’aspettativa di vivere con maggiore serenità la propria uscita del mondo del lavoro non bastasse, vediamo i principali motivi per cui è consigliabile aderire a una forma previdenziale complementare o fondo pensione:

  • Integrazione alla pensione pubblica: dal momento che la pensione pubblica in Italia non garantirà un reddito sufficiente per mantenere lo stesso tenore di vita durante la pensione, visto inoltre il rischio longevità, un fondo pensione complementare fornisce prontamente o sotto forma di rendita un’ulteriore fonte di reddito che integra la pensione statale, permettendo di avere una maggiore sicurezza economica in età avanzata;
  • Tassazione agevolata: in Italia, i versamenti effettuati ai fondi pensione complementari godono di un regime fiscale agevolato. Ciò significa che le somme versate al fondo sono deducibili dal reddito imponibile, riducendo così l’imposta sul reddito. Inoltre, i rendimenti accumulati nel fondo sono esenti da imposta sul reddito e tassazione sostitutiva;
  • Gestione professionale degli investimenti: i fondi pensione sono gestiti da società specializzate che investono i contributi dei partecipanti in vari strumenti finanziari. Questo permette di beneficiare di una gestione professionale e diversificata, mirata a ottenere rendimenti migliori nel lungo periodo;
  • Flessibilità e scelte personalizzate: esistono diversi tipi di fondi pensione in Italia, che offrono diverse opzioni e flessibilità in termini di contributi, investimenti e modalità di erogazione della pensione. Questo consente ai partecipanti di personalizzare la propria pianificazione pensionistica in base alle proprie esigenze e obiettivi;
  • Trasferibilità e portabilità: in caso di cambiamento del posto di lavoro o di carriera, i fondi pensione offrono la possibilità di trasferire il proprio capitale accumulato da un fondo all’altro, garantendo così la continuità della pianificazione pensionistica.

In sintesi, aprire un fondo pensione in Italia è importante per garantire una maggiore sicurezza economica durante la pensione, beneficiare di vantaggi fiscali, accedere a una gestione professionale degli investimenti e avere la flessibilità di personalizzare la propria pianificazione pensionistica in base alle proprie esigenze e obiettivi.

Si ricordi che la partecipazione alla previdenza pubblica (c.d. 1° Pilastro) è obbligatoria: 

  • per tutti i lavoratori dipendenti privati e pubblici, il cui ente di riferimento per la gestione ed erogazione dei contributi è l’INPS;
  • per tutti i professionisti (medici, avvocati, notai, ingegneri, ecc.), i cui enti di riferimento sono invece le rispettive Casse professionali e i vari Enti di previdenza dei liberi professionisti. 

L’adesione a forme di previdenza complementare avviene invece su base volontaria del contribuente e prevede tutta una serie di opportunità e agevolazioni che variano in base al tipo di fondo pensione a cui il lavoratore intende aderire.

Nello specifico si hanno forme di Previdenza complementare collettiva (c.d. 2° Pilastro) e forme di Previdenza complementare individuale (c.d. 3° Pilastro).

fonte: I pilastri della previdenza – COVIP

Ciò premesso, vediamoli in dettaglio.

La previdenza complementare Collettiva e Individuale

La previdenza complementare è disciplinata dal D.lgs. 5 dicembre 2005 n. 252 “il cui scopo è quello di integrare la previdenza di base obbligatoria o di primo pilastro. Essa ha come obiettivo quello di concorrere ad assicurare al lavoratore, per il futuro, un livello adeguato di tutela pensionistica, insieme alle prestazioni garantite dal sistema pubblico di base”.

“La posizione individuale del lavoratore risulta costituita dai contributi versati dal lavoratore e dal datore di lavoro alla forma pensionistica complementare e dai rendimenti ottenuti, al netto dei costi, attraverso l’investimento sui mercati finanziari dei contributi stessi” (fonte: lavoro.gov.it).

La normativa mette a disposizione diverse forme pensionistiche complementari, collettive e ad adesione individuale, nonché una serie di agevolazioni fiscali, riconosciute anche a favore dei familiari fiscalmente a carico.

Chi può accedere alla previdenza complementare

I destinatari dei fondi pensione sono:

  • i lavoratori dipendenti privati e pubblici;
  • i soci lavoratori e i lavoratori dipendenti di società cooperative di produzione e lavoro;
  • i lavoratori autonomi e i liberi professionisti;
  • persone che svolgono lavori non retribuiti in relazione a responsabilità familiari;
  • lavoratori con un’altra tipologia di contratto (ad es. un lavoratore a progetto o occasionale).

Quali sono le forme pensionistiche complementari

I contribuenti possono accedere alle seguenti forme pensionistiche complementari:

  • Fondi chiusi: detti anche “fondi negoziali”, sono forme pensionistiche complementari istituite dai rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro nell’ambito della contrattazione nazionale, di settore o aziendale. Raccolgono solo adesioni collettive e sono rivolti solo a determinati gruppi di lavoratori;
  • Fondi aperti: sono forme pensionistiche complementari istituite da banche, imprese di assicurazioni, società di gestione del risparmio (SGR) e società di intermediazione mobiliare (SIM). Possono raccogliere adesioni individuali o collettive;
  • Piani pensionistici individuali (PIP): rappresentano i contratti di assicurazione sulla vita con finalità previdenziale. Le regole che li disciplinano non dipendono solo dalla polizza assicurativa ma anche da un regolamento basato sulle direttive della COVIP. Lo scopo è garantire all’utente gli stessi diritti e prerogative analoghi alle forme pensionistiche complementari. Raccolgono solo adesioni individuali.


I PIP (Piani Individuali Pensionistici), in quanto veri e propri contratti di assicurazione sulla vita misti Ramo I (polizze tradizionali) + Ramo III (polizze unit-linked), sono prodotti assicurativi con componente di investimento che portano con sé una struttura di costi inutilmente elevata rispetto alle altre alternative, che per questo si rendono preferibili.

Il ragionamento è che se si ha bisogno di un prodotto assicurativo di puro rischio si andrà su questo tipo di prodotti per soddisfare l’esigenza di copertura al verificarsi di un determinato evento, mentre si andrà su un fondo pensione aperto o negoziale se l’esigenza è quello della previdenza complementare.

Come è noto, un eccessivo impatto di costi di gestione di un prodotto può distruggere tutto il rendimento del prodotto stesso e i prodotti assicurativi di investimento non sono famosi per i costi contenuti.

I Fondi pensione aperti d’altro canto sono appunto aperti a tutti e sono sicuramente più efficienti dei PIP, ma comunque meno dei Fondi negoziali, ai quali tuttavia possono aderire solo le categorie di lavoratori per cui sono pensati.

I Fondi chiusi o negoziali hanno i costi di gestione più bassi rispetto alle altre alternative e sono quelli che danno la possibilità del contributo extra del datore di lavoro. 

Come aderire e alimentare un fondo pensione

L’adesione alla previdenza complementare è su base volontaria.

Per i fondi aperti più efficienti è possibile aderire semplicemente online, mentre per i fondi di categoria è necessario qualche passaggio in più:

  1. si va sul sito del fondo e si scarica il modulo di adesione
  2. si compila nelle parti di competenza del lavoratore dipendente 
  3. si consegna il modulo al datore di lavoro che dovrà firmarlo e compilarlo a sua volta
  4. il datore di lavoro invia il modulo al fondo pensione

 

Per le grandi aziende la procedura è più facile perché la pratica è gestita tramite il reparto HR.

Il fondo pensione sarà alimentato dal TFR e dai contributi volontari per i lavoratori dipendenti e da contributi volontari per le altre categorie di lavoratori.

In particolare, i lavoratori dipendenti aderiscono alla forma previdenziale complementare definita nel contratto di lavoro (c.d. adesione collettiva), ma possono anche scegliere di versare il proprio TFR in un fondo diverso da quello definito dal contratto di lavoro o di lasciarlo in azienda.

Tuttavia, solo aderendo alla forma previdenziale definita dal contratto del lavoro (fondo negoziale) si avrà diritto al beneficio noto come contributo del datore di lavoro.

Il contributo del datore di lavoro

Per poterlo ottenere il contribuente deve:

  1. aderire al fondo pensione previsto dal contratto di lavoro o regolamento aziendale, nel quale il datore verserà il TFR;
  2. versare nel fondo una contribuzione aggiuntiva in una misura definita dallo stesso accordo collettivo o regolamento aziendale.

Questa operazione rappresenta un contributo finanziariamente a carico dell’azienda che alimenta nel corso del tempo il montante pensionistico del dipendente…anche in maniera significativa!

Vediamo un caso concreto per capirne la potenza economica.

fonte: COVIP

L’effetto leva del contributo del datore di lavoro sul fondo pensione è ancora più potente se si pensa che per molti contratti collettivi e settori l’azienda/datore di lavoro versa più del lavoratore. 

fonte: Tabella di Contribuzione per il Fondo Complementare Fon.Te
fonte: Tabella di Contribuzione per il Fondo Complementare Fon.Te
fonte: Tabella di Contribuzione per il Fondo Complementare Fon.Te

Il valore dei contributi da versare nel fondo, definiti a monte dai fondi negoziali, è da rapportare alla RAL (Retribuzione Annuo Lordo) del lavoratore.

Mediamente per il lavoratore si parla di un contributo molto contenuto e che può partire da un valore inferiore all’1% della RAL, rispetto invece al contributo a cui è chiamato il datore del lavoro che può essere fino a quasi 4 volte quello del dipendente (esempio 3).

Una best practice è infatti quella per i lavoratori dipendenti di accedere con il contributo minimo  possibile al fondo pensione tanto da ottenere il beneficio del contributo del datore di lavoro e investire in strumenti o strategia alternative (es. PAC) eventuali risorse extra disponibili in grado di dare altri vantaggi (es. rendimenti prospettici più soddisfacenti, pronta liquidabilità del capitale in caso di necessità, ecc.)

Attenzione! Si ricordi che i lavoratori dipendenti che aderiscono a forme pensionistiche individuali (Fondo aperti o PIP) diverse da quella prevista dagli accordi collettivi o dal regolamento aziendale, non potranno ricevere il contributo del datore di lavoro.

Come conferire il TFR nel fondo pensione per i lavoratori dipendenti

Il lavoratore dipendente entro sei mesi dall’assunzione può decidere di:

  • destinare le quote di TFR ancora da maturare ad una forma pensionistica complementare;
  • lasciare il TFR presso il datore di lavoro;
  • non decidere nulla. In questo caso il datore di lavoro trasferisce il TFR maturando alla forma pensionistica collettiva prevista dagli accordi o contratti collettivi, salvo accordi aziendali diversi. In assenza di forme pensionistiche integrative collettive di riferimento, il datore di lavoro deve trasferire il TFR maturando alla forma pensionistica complementare istituita appositamente presso l’INPS (FONDINPS) (art. 9 del D.lgs. 252/2005);
  • destinare il TFR futuro alla previdenza complementare anche in un secondo momento. Il TFR maturato resta accantonato presso il datore di lavoro e sarà liquidato al momento della risoluzione del rapporto di lavoro.

Come detto, il TFR potrebbe anche essere lasciato in azienda, ma non si ravvisano motivi validi sufficienti per perseguire questa direzione, sia perché la normativa sulla previdenza complementare prevede forme di anticipazione e riscatto delle somme versate in molteplici casi e in casi di emergenza (vedi paragrafi successivi), sia perché il TFR lasciato disinvestito non produce alcun rendimento. 

Come avviene la gestione dei contributi versati nei fondi pensione da parte dei gestori di fondi

Le forme pensionistiche complementari, nella gestione degli investimenti, sono tenute al rigoroso rispetto di regole di prudenza, definite per legge. 

Tali regole devono tener conto della finalità previdenziale e non speculativa dell’investimento stesso. 

Inoltre tutti gli investimenti devono essere adeguatamente diversificati ed effettuati tenendo conto dei limiti indicati dalla normativa in vigore.

La COVIP (Commissione di vigilanza sui fondi pensione), istituita nel 1993 con d.lgs. 124/1993,  è l’Autorità preposta alla vigilanza delle forme pensionistiche complementari.

Prestazione pensionistica complementare, Anticipazioni e Riscatti 

Il diritto alla prestazione pensionistica in forma di rendita si acquisisce al momento della maturazione dei requisiti di accesso alle prestazioni stabiliti nel regime obbligatorio di appartenenza, con almeno cinque anni di partecipazione alle forme pensionistiche complementari.

È prevista la facoltà da parte del contribuente di chiedere la liquidazione della prestazione pensionistica in capitale entro il limite del 50% del montante finale accumulato, mentre il restante 50% verrà corrisposto sotto forma di rendita pensionistica integrativa.

Agli iscritti al fondo è data la possibilità di chiedere, nei limiti previsti, un’anticipazione delle prestazioni per:

  • eventuali spese sanitarie (max 75% del montante accumulato); 
  • acquisto della prima casa per sé o per i figli (decorsi 8 anni dall’inizio della contribuzione e per max 75% del montante accumulato); 
  • l’anticipazione può, inoltre, essere richiesta per altre cause nel limite del 30% della posizione maturata (decorsi 8 anni dall’inizio della contribuzione – si applica una ritenuta a titolo di imposta del 23%). 

Dopo due anni di adesione ad un fondo è possibile chiedere il trasferimento della posizione maturata presso altro fondo pensionistico complementare.

Inoltre, le somme versate nel fondo pensione possono essere riscattate in tutto o in parte, al verificarsi di determinate condizioni. Il riscatto parziale del 50% del montante contributivo può essere richiesto nei casi di:

  • inoccupazione per un periodo compreso tra 12 e 48 mesi;
  • procedure di mobilità;
  • cassa integrazione guadagni ordinaria o straordinaria;
  • procedura di esodo incentivato.

Il riscatto totale del 100% del montante contributivo è invece ammesso in una delle seguenti situazioni:

  • invalidità permanente che comporti la riduzione delle capacità di lavoro a meno di un terzo;
  • inoccupazione per un periodo di tempo superiore a 48 mesi;
  • perdita dei requisiti di partecipazione alla forma pensionistica complementare (ad esempio in caso di cambio di lavoro che comporti il passaggio a un diverso CCNL).

Vantaggi fiscali e Tassazione della previdenza complementare

A conferma dell’importanza nel panorama socio economico nazionale dello strumento della previdenza complementare il legislatore ha previsto dei vantaggi fiscali al fine di incentivarne l’adesione da parte dei contribuenti.

I vantaggi fiscali si sostanziano in:

  • Deduzione dei contributi versati nel fondo pensione fino ad un massimo di 5.164,57 € all’anno: ciò permette l’immediato beneficio fiscale di ridurre il proprio reddito imponibile annuo (e quindi tasse dovute ai fini IRPEF) per ogni anno di adesione al fondo. Sono qui ricompresi sia i contributi diretti del lavoratore che quelli del datore di lavoro in caso di lavoratore dipendente che beneficia del contributo extra dell’azienda;
  • Tassazione agevolata dei rendimenti al 20%: i rendimenti che derivano da investimenti diversi dai Titoli di Stato (per i quali esiste già una tassazione agevolata al 12,5%) sono tassati al 20% invece che al 26%, come per qualsiasi altra forma di gestione del risparmio;
  • Tassazione agevolata della prestazione di previdenza complementare: al momento dell’erogazione del capitale o della rendita si applica un’aliquota sostitutiva del 15% sulle prestazioni, che cala dello 0,30% per ciascun anno di adesione oltre al quindicesimo fino a un minimo del 9%. 

È possibile cambiare fondo pensione?

È possibile cambiare fondo pensione trasferendo il montante contributivo da un fondo all’altro senza costi, così come è possibile decidere di averne anche due di fondi pensione.

Attenzione! Il massimale dei contributi deducibili vale per le somme versate su tutti i fondi pensione attivi, quindi non è cumulabile. 

È possibile inoltre richiedere il 100% del montante pensionistico sotto forma di capitale se, convertendo il 70% della posizione individuale, si abbia una rendita annua di importo inferiore al 50% dell’assegno sociale.

Tuttavia, sulla necessità o meno di avere più fondi pensione attivi si possono fare diversi ragionamenti, anche se scelte di questo tipo rientrano in un discorso più ampio di  pianificazione finanziaria, previdenziale e patrimoniale che trova senso in specifiche esigenze che qui non verranno trattate. 

Cosa succede in caso di morte del contribuente

In caso di morte dell’aderente a una forma pensionistica complementare prima della maturazione del diritto alla prestazione pensionistica l’intera posizione individuale maturata è riscattata dagli eredi o dai diversi beneficiari designati dallo stesso, siano essi persone fisiche o giuridiche.

In assenza di tali soggetti, la posizione resta definitivamente acquisita al fondo pensione e viene suddivisa tra tutti gli altri aderenti.

Vi sono altri obblighi dal momento in cui si decide di aprire una posizione in un fondo pensione?

Non vi sono particolari obblighi connessi all’apertura di una posizione in un particolare fondo pensione aperto.

Si può decidere di aderire per un solo anno e poi basta, modificare l’ammontare dei contributi da versare all’interno, le scadenze dei versamenti.

Per i fondi di categoria (anche detti negoziali) l’unico obbligo per poter accedere al contributo aggiuntivo del datore è quello di versare il minimo dichiarato dal fondo.

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